La sindrome fibromialgica è una sindrome caratterizzata da dolore muscoloscheletrico diffuso e da affaticamento e colpisce approssimativamente 2 milioni di italiani. Costituisce una sindrome di interesse multidisciplinare che coinvolge varie discipline specialistiche anche se spesso questi pazienti non vengono considerati nel loro insieme ma nel dettaglio del singolo sintomo. Il dolore rappresenta un sintomo fondamentale e ne è allo stesso tempo la manifestazione principale. La fibromialgia interessa principalmente i muscoli e, sebbene possa assomigliare ad una patologia articolare, non causa deformità delle strutture articolari. Può essere infatti considerata una forma di reumatismo extra-articolare o dei tessuti molli
Sebbene l'OMS abbia riconosciuto già dal 1992 l'esistenza di questa sindrome solo parte dei Paesi europei ha aderito. Tra questi non figura l'Italia. Il Parlamento europeo ha invece approvato nel 2008 una dichiarazione che, partendo dalla considerazione che la fibromialgia non risulta ancora inserita nel Registro ufficiale delle malattie nell'Unione europea e che questi pazienti effettuano più visite generiche e specialistiche, ottengono un maggior numero di certificati di malattia e ricorrono più spesso ai servizi di degenza, rappresentando così un notevole onere economico per l'Europa, ha invitato la Commissione europea e il Consiglio a mettere a punto una strategia comunitaria per la fibromialgia in modo da riconoscere questa sindrome come una malattia e ad incoraggiare gli Stati membri a migliorare l'accesso alla diagnosi e ai trattamenti.
Dal punto di vista legale, quindi, attualmente non vi è una tipizzazione normativa globale. La fibromialgia legalmente non attribuisce alcun diritto all’interessato per circa il 99% del territorio italiano. ll riconoscimento della fibromialgia risulta particolarmente disomogeneo anche sul territorio nazionale.
Strumenti di tutela processuali
Attualmente l’unica possibilità volta ad ottenere il riconoscimento legale della fibromialgia è processuale. Il nostro studio legale vanta un primato: siamo stati i primi in Italia ad ottenere delle importanti pronunzie che hanno determinato il riconoscimento della natura legale della patologia con ben QUATTRO provvedimenti di omologa positivi. I nostri clienti, tutti ex lavoratori, hanno ottenuto la pensione di invalidità.
1COSA POSSO FARE QUINDI?
Innanzitutto, occorre istruire la pratica amministrativa per invalidità e 104 per il tramite di un CAF o di un Patronato.
Una volta chiamati per essere sottoposti a visita medico legale da parte della sede INPS competente per territorio, dovrete attendere il verbale che, sicuramente, sarà negativo.
In seguito alla negazione da parte della commissione INPS competente, l’interessato, che ha ricevuto il verbale negativo, dovrà, entro il termine di 180 giorni, proporre ricorso per accertamento tecnico preventivo dinanzi al Tribunale competente (luogo ove l’interessato ha la residenza), per il tramite di un avvocato.
In tal caso, sarà necessario premunirsi, prima del deposito del ricorso, di una consulenza medico legale che affermi, in relazione al criterio dell’analogia, la gravità della patologia fibromialgica.
Occorre evidenziare, quindi, con i documenti medico legali accumulati nel corso della vita del paziente, una situazione ad “alta intensità di rischio” intesa dalla dottrina medico legale come un’alterazione quali-quantitativa dello stato di salute che induca una modificazione peggiorativa dello stato anteriore suscettibile di apprezzamento clinico e/o, eventualmente, medico legale, caratterizzata dai seguenti attributi: ANORMALITÀ, EVOLUTIVITÀ, BISOGNO di CURE, DISFUNZIONALITÀ, MANCATA ESPANSIONE DELLE ATTIVITÀ SOCIO-RELAZIONALI ecc.
Tali situazioni si connotano per essere gravi se si appalesano per un considerevole disordine funzionale, in grado di scemare sensibilmente e in modo severo la funzione dell’organo /apparato /sistema in quella fattispecie compromesso.
2DEL PROCESSO MORBOSO IN ESAME È NECESSARIO VALUTARE:
LA SUA NATURA CLINICA.
L’ENTITÀ DELLA DISFUNZIONE che determina
3. IL CONCRETARSI a carico della persona IN MODO ACUTO, anche se più ampiamente iscritto in un decorso più torpido o cronico
4. La sua STORIA NATURALE/MODIFICATA DALLA TERAPIA.
E’ opportuno precisare come la qualificazione di “Grave” non attiene: � né le strategie di diagnosi o la particolare indaginosità degli accertamenti/ trattamenti eseguiti (ad es, l’aver eseguito trattamento chirurgico in anestesia generale) � né la tipologia/importanza ella Struttura in sé per sé considerata cui ci si rapporta (essere stati ricoverati in ospedali di eccellenza) o altro di segno socio-ambientale (aver avuto bisogno di assistenza personale, come in caso di fratture agli arti inferiori). In sintesi, dunque, quello che si è voluto tutelare, e il bene vita costituzionalmente garantito.
Una volta ottenuta perizia medico legale, si potrà depositare il ricorso. Alla prima udienza di comparizione il Giudice nominerà un CTU che dovrà effettuare una visita medico legale sul ricorrente.
In questo caso, si andrà a rivedere la posizione medico legale assunta in negativo dell’INPS al fine di rettificarla, ove ci siano i presupposti.
Il CTU, quindi, al termine delle operazioni peritali, depositerà la perizia. Se positiva, la stessa, riconoscerà la malattia come invalidante. Se negativa, la stessa perizia potrà essere impugnata.
3COSA SUCCEDE IN CASO DI ACCOGLIEMENTO?
Nel caso di accoglimento, il Giudice emetterà un decreto di omologa.
Ciò precisato, ai fini procedurali, si tiene ad evidenziare come il mancato riconoscimento, oggi, è grave condizione di negazione.
Peraltro, diversamente opinando si perverrebbe ad una interpretazione della vigente normativa senz’altro contraria ai principi di eguaglianza e d’imparzialità della p.a. (artt.3 e 97 Cost).
Sul punto va rimarcato la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del disabile del 13 dicembre2006 è stata ratificata dall'Italia con 4. n. 18 del 2009 e dall'Unione Europea con decisione n. 2010/48/CE (cfr. Cass. n. 2210/2016). Pertanto, in virtù di una lettura combinata dei valori costituzionali, dei principi di certezza del diritto e affidamento del cittadino, appare giustificata la censura di disparità di trattamento e di lesione del principio di buon andamento trasparenza ed efficacia dell'amministrazione.
L’articolo 32 della Costituzione italiana stabilisce che «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti». Purtroppo, questo principio non sempre viene rispettato.
4L’ESIGENZA DEL RICONSOCIMENTO IN AMBITO LAVORATIVO
Per chi soffre di fibromialgia, lavorare può essere difficile. Sia per il dolore cronico diffuso e la persistenza stanchezza sia per altri sintomi concomitanti (confusione mentale, l’ipersensibilità, i disturbi del sonno). Chi ne soffre a volte fatica a essere creduto, perché il dolore è invisibile dall’esterno. Facile, quindi, che negli ambienti di vita, incluso quello lavorativo, si generino difficoltà e incomprensioni.
L’impatto della fibromialgia sul lavoro è stato analizzato da un’indagine del Comitato Fibromialgici Uniti che ha stimolato la nascita dell’Osservatorio Salute e Benessere sul Luogo di Lavoro. I risultati della ricerca che ha coinvolto 1.179 sono stati presentati al 6° Convegno Nazionale del Comitato Fibromialgici Uniti (CFU).
Il livello di benessere sul lavoro purtroppo non è alto. Solo il 14 per cento dei nostri intervistati ne è soddisfatto. Il 53 per cento ha riferito problemi significativi, il 16 per cento non ci va volentieri mentre il 17 per cento manifesta un vero e proprio stato di ansia con preoccupazione di perderlo.
Le difficoltà che un paziente fibromialgico incontra ogni giorno nel proprio ambiente lavorativo sono disparate e risapute. Solitamente la causa viene accreditata alla patologia ma in realtà ci sono vari fattori connessi.
Spesso l’ambiente o le metodologie lavorative fanno si che la malattia si aggravi o stabilizzi.
In un recente studio emerge un dato importante sul numero di giornate di malattia che vengono prescritte in un anno lavorativo: nonostante il dolore, il 36% delle pazienti affette da fibromialgia non ha preso malattia mentre il 12% si è assentato per lunghi periodi.
Risulta scontato dire che bisognerebbe riorganizzare il lavoro, richiedono un intervento più strutturato che coinvolga differenti aspetti sanitari per l’identificazione dei fattori di stress e per un approccio terapeutico che sia modulato sulle esigenze del singolo paziente.
Ragioni queste che oggi impongono un riconoscimento legale.
Appare doveroso, pertanto, l’istituzione di un percorso finalizzato ad inserire la fibromialgia nell’elenco delle malattie ‘Croniche‘, precisando i gradi di invalidità derivanti dal persistere della malattia nei suoi differenti stadi di severità. Ciò al fine di assicurare il rispetto della dignità e dell’autonomia della persona umana, il bisogno di salute, l’equità nell’accesso all’assistenza, la qualità delle cure e la loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni».
La fibromialgia ha un notevole impatto anche in ambito lavorativo. Il 35-50% dei pazienti affetti da questa malattia non lavora e una persona su tre ritiene di non poter lavorare a causa della sintomatologia e delle limitazioni che essa determina. Tutto questo porta a gravi difficoltà economiche che impattano anche sulle possibilità di cura, così come a conseguenze negative sull’autostima e sul senso di autoefficacia. L’attuale impianto normativo non appare in linea con il dettato costituzionale di cui all’articolo 32, il quale recita che: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
La fibromialgia, sebbene sia riconosciuta dall’Organizzazione mondiale della sanità sin dal 1992 con la cosiddetta «Dichiarazione di Copenaghen» ed inclusa nell’International Classification of Diseases (ICD) a partire dalla sua nona revisione, in assenza del suo inserimento nell’elenco del ministero della Salute non consente di essere prevista come diagnosi nei tabulati di dimissione ospedaliera. I pazienti, di conseguenza, sono privi di tutele e non possono usufruire dell’esenzione dalla spesa sanitaria. «Riconoscere la fibromialgia come malattia cronica e invalidante ne consentirebbe l’inserimento tra le patologie che danno diritto all’esenzione dalla partecipazione al costo per le correlate prestazioni sanitarie, stante le condizioni di forte disagio e malessere psico-fisico che si manifestano nelle persone che ne sono affette».
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